Impariamo e apprendiamo dagli uccelli

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 10 dicembre 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: DISCUSSIONE/AGGIORNAMENTO]

 

Ed ora ascoltami, voglio spiegarti quale natura

abbiano i luoghi e i laghi Averni, quanti essi sono.

Sappi anzitutto che impose loro quel nome di «Averni»

il fatto stesso che sono funesti a tutti gli uccelli.

Come vi arrivano in volo direttamente essi

[…] a piombo cadono in terra, o nell’acqua,

se mai lì sotto per caso si stende un lago di Averno.

V’è presso Cuma un sì fatto luogo, ove pieni di zolfo

ardente fumano i monti ricchi di fonti termali.

[Tito Lucrezio Caro, De Rerum Natura]

 

 

Premessa. Se gli antichi osservando gli uccelli venivano a conoscenza dell’esistenza di esalazioni mefitiche o venefiche in certi luoghi, e seguendo gli uccelli marini trovavano le giuste rotte di navigazione, l’uomo rinascimentale studia il volo degli uccelli per costruire macchine volanti e lo scienziato moderno, studiando il canto degli uccelli, scopre la neurogenesi nel cervello dei vertebrati. Questi, credo siano esempi eloquenti del nostro storico apprendere dalle specie aviarie, che prosegue in modi e forme diverse nel tempo presente. E, infatti, l’attualità ci propone due lezioni sull’evoluzione provenienti dal mondo degli alati: la prima riguarda la comparazione tra cervello degli uccelli e cervello dei mammiferi e ci dice che non sempre il grado di differenza nell’organizzazione anatomica corrisponde all’entità della distanza funzionale tra specie; la seconda – e più recente, perché è proprio di questi giorni – riscrive l’evoluzione delle specie aviarie a partire da un piccolo frammento osseo di un progenitore ancestrale degli uccelli, vissuto circa 67 milioni di anni fa, all’epoca dei dinosauri.

 

Omologhi di neuroni corticali dei mammiferi nel cervello aviario senza corteccia. Al cielo lontano e inarrivabile dalla terra posta sotto i suoi piedi, l’uomo nel corso dei millenni ha visto giungere, volteggiare, planare e sfrecciare delle creature dotate di ali capaci di accendere in lui un desiderio, che rimaneva un sogno irrealizzabile. Dedalo, il più grande inventore dell’antichità, costruì delle ali con piume di uccelli tenute insieme da cera; Leonardo da Vinci progettò macchine volanti, ma solo in epoca contemporanea si è giunti a costruire aerei e vettori spaziali. Macchine, appunto. Il fascino delle specie aviarie è invece da sempre nella capacità naturale del loro corpo di volare, nella possibilità di spiccare il volo e puntare la parte più alta della volta celeste, così come noi possiamo dirigerci verso una meta in un campo o su una via. Fin dall’alba dell’evoluzione ominoidea, i nostri progenitori hanno imitato gli animali e si sono resi conto di potersi arrampicare sugli alberi come scimmie, correre come i più agili mammiferi, nuotare come pesci, strisciare come serpenti, ma di poter solo ammirare il prodigio dei pennuti in grado di librarsi nell’aria a proprio piacimento. Non meraviglia perciò, nell’epoca dello sviluppo delle grandi civiltà del passato, il ricco fiorire di miti e leggende su esseri volanti, divinità alate, chimere ornitomorfe, uccelli dalle capacità geniali personificanti le risorse di metis o la dea stessa dell’intelletto, come nel caso di Atena Aithuia.

Sappiamo fin da bambini che la differenza principale tra il corpo degli uccelli e quello dei mammiferi è costituita dalle loro ossa pneumatiche, ma circa l’aspetto più evidente della differenza con i mammiferi quadrupedi o bipedi, ossia le ali al posto degli arti anteriori o superiori, si è saputo poco finché non sono stati identificati i morfogeni responsabili dello sviluppo delle appendici capaci di consentire il volo, e si è risaliti alle probabili mutazioni che, nel corso della filogenesi, hanno consentito alle specie progenitrici di quelle attuali di munirsi di ali. Ma l’aspetto che appassiona maggiormente i ricercatori è costituito dall’intelligenza di alcuni uccelli, come i corvidi o i pappagalli, al di là della loro capacità di imitare i suoni della voce umana, o dei piccioni che, dal tempo dei pionieristici esperimenti di Cerella, sappiamo che sono in grado di stimare le piccole numerosità, riconoscendo le maggiori, le minori e quelle uguali. Chi non ricorda Alex, il pappagallo cinerino di Irene Pepperberg che venne a esibire le sue abilità a Firenze, quando noi ne riferimmo in un articolo?

La differenza tra il cervello degli uccelli e quello dei mammiferi per dimensioni, quantità ed estensione delle strutture, specializzazione, interconnessione, livelli di organizzazione e complessità è veramente abissale e, se si va oltre, tentando l’accostamento con l’encefalo dei primati più evoluti, ossia il nostro, la comparazione sembra a prima vista un’impresa velleitaria e disperata: a cosa si accostano le innumerevoli connessioni indirette formanti reti con aree e nuclei di ciascuno dei sei strati del neopallio umano in una piccola formazione nervosa priva di corteccia cerebrale?

Per gli studi di neurofisiologia comparata a lungo si è adottata l’inferenza dalla neuroanatomia comparata; in altri termini, gli studi di Ludwig Edinger basati soprattutto sul metodo istologico di colorazione introdotto da Franz Nissl indicavano una differenza morfologica nella parte del telencefalo dorsale chiamata pallio, che definiva gli uccelli privi di corteccia cerebrale. Infatti, nei volatili manca la struttura esalaminare tipica della corteccia cerebrale dei mammiferi, e questo dato aveva indotto Edinger a ritenere che l’evidente organizzazione del cervello degli uccelli per nuclei rispetto a quella dei mammiferi molto più complessa e fornita del complesso manto pluristratificato ritenuto sede del pensiero, dell’intelletto e della personalità nell’uomo, potesse interpretarsi come l’assenza di una struttura corticale in termini funzionali, con uno sviluppo in proporzione maggiore dei nuclei della base del telencefalo.

In epoca più recente questa interpretazione semplicistica è stata messa in discussione e gli studi di neurofisiologia comparata hanno cercato nei tipi neuronici dei nuclei aviari dei possibili equivalenti di unità funzionali presenti nella corteccia dei mammiferi. Questo tipo di studi si è rivelato più complesso del previsto per numerose ragioni, non ultime le differenze esistenti fra le specie dei volatili.

Uno studio illuminante in questo ambito è stato condotto lo scorso anno da Jeremy A. Spool e colleghi[1] che hanno cercato di definire il fenotipo molecolare e fisiologico di cellule del pallio aviario corrispondenti a quelle della corteccia cerebrale, studiando un uccellino esotico conosciuto e apprezzato in Italia.

Il Diamante Mandarino (Taeniopygia castanotis)[2], chiamato in America Zebra finch, un po’ impropriamente perché non è un fringuello (finch) ma appartiene alla famiglia delle Estrildidae, è un uccellino originario dell’Australia[3] un po’ più piccolo di canarini e cardellini, caratterizzato dal becco di un vivace color arancione, una macchia guanciale di un caldo marrone chiaro e, per il resto, una livrea inconfondibile con una stria laterale più scura punteggiata di bianco, evidente nel maschio sotto la linea dell’ala chiusa[4].

Jeremy A. Spool e colleghi hanno identificato nel proencefalo uditivo del Diamante mandarino – un’area del pallio degli uccelli, ossia una parte dorsale del cervello particolarmente indagata negli studi comparativi – gruppi di cellule eccitatorie e inibitorie che presentano caratteristiche funzionali simili a quelle della nostra corteccia cerebrale. Fisiologicamente, questa rete partecipa al sostrato neurale della cognizione aviaria che, come hanno rivelato studi recenti, assicura processi di stima e valutazione un tempo insospettabili per i pennuti.

I ricercatori hanno preso le mosse dal precedente rilievo di sorprendenti elementi somiglianti tra i tipi neuronici rinvenuti nel pallio di uccelli cantori e cellule della corteccia cerebrale dei mammiferi[5], ma senza dati genetici probanti. E hanno cercato proprio questi dati, perché la comprensione del rapporto tra proprietà sinaptiche e computazionali delle cellule e loro fenotipo molecolare richiede la realizzazione negli uccelli di mappe della fisiologia delle cellule del pallio secondo la loro identità. Così hanno accertato che i promotori di CaMKIIα e di GAD1 caratterizzano e separano i tipi cellulari del proencefalo aviario, e i ruoli nella codifica uditiva distinguono questi tipi neuronici in termini fisiologici. Poi hanno verificato che i neuroni esprimenti GAD1 e mDlx guidano la sincronia elettrica locale delle reti neuroniche, così come le oscillazioni gamma[6].

Tutti questi elementi caratterizzanti in modo specifico i tipi cellulari del pallio aviario sono esattamente equivalenti a quelli dei neuroni omologhi della corteccia cerebrale dei mammiferi.

Accanto a questo elemento di somiglianza di piccole unità funzionali che prescindono dal tipo di organizzazione generale dell’encefalo, sussistono le numerose differenze, e fra queste ve ne sono anche alcune che possono aiutare a comprendere le abilità degli uccelli. Un dato, ormai così noto e ripetutamente verificato da non richiedere una citazione specifica, è la maggiore densità di neuroni per unità cubica di misura del cervello aviario rispetto a quello dei mammiferi. Da un canto questo dato giustificherebbe almeno in parte le risorse proporzionalmente notevoli di un cervello così piccolo, dall’altra sottolinea la differenza di organizzazione dovuta ad una differente filogenesi e, soprattutto, interroga sulle differenze nei ruoli della glia, ancora tutte da esplorare.

 

Come un frammento osseo trascurato per due decenni riscrive l’evoluzione degli uccelli. Per circa due secoli in zoologia gli uccelli sono stati distinti in due categorie tassonomiche: 1) Neognathae con articolazioni mobili della mandibola superiore[7], che consente i movimenti della parte superiore del becco (rinoteca)[8], e 2) Paleognathae, ossia il piccolo gruppo che include struzzi ed emù, con il palato fuso che non consente escursioni della rinoteca. Tale palato fuso è prerogativa anche dei dinosauri, inclusi quelli provvisti di piume, considerati antenati degli uccelli attuali[9]. Su questa base, gli zoologi hanno ritenuto gli struzzi e la loro linea evolutiva il gruppo filogeneticamente più antico di specie aviarie, ed hanno considerato la comparsa della rinoteca mobile un evento filogeneticamente molto più recente.

Ora, questo criterio filogenetico alla base dell’impianto tassonomico di tutta l’ornitologia, è stato profondamente scosso dall’analisi di un piccolo frammento osseo mascellare che fa parte di un reperto fossile scoperto in Belgio, vicino al confine olandese, e descritto per la prima volta nel 2002. Molti dei frammenti ritrovati rimasero inizialmente all’interno di un blocco di sedimento e non fu possibile analizzarli in dettaglio. Nel 2018 il ritrovamento fu chiesto in prestito al Museo di Storia Naturale di Maastricht dai paleontologi Juan Benito e Daniel Field dell’Università di Cambridge, che effettuarono uno studio mediante tomografia computerizzata.

Dopo averli accantonati per molto tempo, Benito è tornato ad analizzare quegli elementi ed è stato attratto e incuriosito dalla forma particolare di un ossicino attribuito allo scheletro della spalla, e si è reso conto che era troppo piccolo per quella attribuzione. Proseguendo nello studio, si è accorto che si trattava di un ossicino spaccato in due; allora si è dato da fare per trovare l’altra metà. Benito, Field e colleghi sono riusciti a trovare la parte mancante e, dopo essersi resi conto che combaciava perfettamente, lo hanno ricostruito. Ma, quando lo hanno visto intero, lo hanno subito riconosciuto: è l’osso pterigoideo del palato, un elemento chiave per l’articolazione della rinoteca, ossia della parte superiore del becco, come se si trattasse di un uccello moderno dal becco articolato e non di un fossile di 67.000.000 di anni fa.

L’esame è proseguito e, con ogni evidenza, questo ossicino fossile è risultato conformato come il suo equivalente mobile di galline e anatre, fugando ogni dubbio circa il fatto che questo esemplare coevo dei dinosauri abbia un’articolazione che fino a non molti giorni fa si riteneva fosse comparsa milioni di anni dopo nella filogenesi[10].

Questa scoperta cambia il modo in cui abbiamo concepito l’evoluzione delle specie aviarie dal tempo di Linneo a oggi, come ha osservato Christopher Torres, paleontologo dell’Università dell’Ohio[11]. I ricercatori suppongono che il becco articolato sia presente in specie ancora più antiche, perché il resto del campione ritrovato indica la parentela con l’Ichthyornis, una specie fossile vissuta venti milioni di anni prima di questa.

Benito, Field e colleghi hanno denominato questa specie da loro scoperta Janavis finalidens da Janus, Giano, la divinità romana dell’inizio, della fine e delle transizioni. Da vivo doveva avere un peso di 1,5 Kg, come un airone cenerino (Ardea cinerea) ed essere un uccello trasvolatore della costa, sul mare che a quel tempo copriva il Belgio e l’Olanda della nostra epoca.

Questa scoperta ridefinisce l’evoluzione delle specie aviarie, cancellando la dicotomia Paleognathae / Neognathae e suggerisce la ricerca del progenitore comune dal quale hanno avuto origine i due tipi di palato.

 

Conclusioni. Questo articolo, che non aveva la pretesa di discutere il vasto campo di ciò che apprendiamo dagli uccelli, che va dalla genetica molecolare di FOXP2, preziosa per comprendere alcuni disturbi motori e del linguaggio, agli studi sulla struttura del loro canto, illuminante per alcuni aspetti della prosodia umana, si è limitato a proporre due aggiornamenti apparentemente molto distanti tra loro per campo di indagine ma accomunati da due aspetti: provengono entrambi dal mondo degli alati e sicuramente impronteranno la ricerca dei prossimi anni.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-10 dicembre 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Spool J. A., et al. Genetically identified neurons in avian auditory pallium mirror core principles of their mammalian counterparts. Current Biology 31 (13): 2831-2843, 2021.

[2] Descritto nel 1837 da John Gould col nome di Amadina castanotis, un ventennio dopo la descrizione della Taeniopigia guttata nelle isole indonesiane della Sonda (Sunda zebra finch). Le due specie, sempre distinte dagli ornitologi, sono state considerate da molti tassonomisti una sola specie, fino alla separazione tassonomica ufficiale (IUCN Red List e BirdLife International, 2016; International Ornithological Congress 2022). La differenza è oggi evidente anche grazie agli studi di risposta trascrittomica alle infezioni: Taeniopigia guttata o Diamante delle Isole della Sonda è resistente all’infezione malarica, rimanendo immune dall’infezione di parassiti del genere Plasmodium (Watson e coll., 2017; Scalf e coll., 2019; Valkiunas e coll., 2018).

[3] Dall’Australia Centrale si è poi diffuso in altre zone di Oceania e Asia. Fu poi introdotto a Portorico e in Portogallo.

[4] Conosciuti anche come “diamantini”, in Italia sono tra gli uccelli esotici più spesso allevati in gabbia e in voliera, non per il canto, che è un breve suono ripetitivo paragonato a quello di trombette-giocattolo del passato, ma per l’aspetto e il comportamento vivace che sembra allegro e festoso.

[5] Gregory F. Ball., et al., Evolutionary neuroscience: Are the brains of birds and mammals really so different? Current Biology 31 (13): 840-842, 2021.

[6] Spool J. A., et al., art. cit.

[7] In anatomia umana si parla di ossa mascellari e col nome di mandibola si designa esclusivamente il mascellare inferiore mobile, contrapposto al mascellare superiore, o osso mascellare propriamente detto, che fa parte della struttura ossea fissa dello splancnocranio. La mobilità della mandibola nell’uomo è dovuta all’articolazione temporo-mandibolare. In ornitologia si adopera spesso il termine mandibola per indicare entrambe le ossa mascellari, superiore e inferiore.

[8] La parte superiore del becco è detta rinoteca e presenta sulla superficie orifici di canali omologhi delle narici; la parte inferiore del becco è la gnatoteca. Nei pappagalli e nei falchi il becco è sormontato dalla cera nella quale si aprono le narici, invece di essere ai lati del culmen della rinoteca.

[9] Ricordiamo che gli animali sono distinti in base al possesso di bocca fissa o mobile in due classi: gli Agnati senza mascelle, con innervazione amielinica e filogeneticamente primitivi; gli Gnatostomi, che comprendono Pesci, Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi, con articolazione tra mascellare superiore e inferiore (o mandibola), innervazione mielinica, che garantisce rapidità ed efficienza agli impulsi della motilità masticatoria, e filogeneticamente più evoluti.

[10] Cfr. Benito J., et al. Cretaceous ornithurine supports a neognathous crown bird ancestor. Nature 612, 100-105, 2022. In pre-pubblicazione online il 30 novembre 2022.

[11] Gretchen Vogel, New look at ancient jaw fossil rewrites bird evolution. Science – news/evolution, 30 Nov. 2022.